Incontri in viaggio: la ragazza incinta e i fiori

Era il treno che da Roma Termini avrebbe fermato a Tiburtina, poi Napoli e infine Salerno.
Tornavo da casa di Martina, da Reggio Emilia.

Salgo a Termini e c'è un signore che occupa il mio posto, quindi mi accomodo a quello successivo.
A Termini il signore scende ma io decido di non spostarmi perchè non mi andava di poggiarmi dove fino a pochi secondi prima poggiava un'altra persona dall'aria non proprio pulita, o comunque poco fresca — un po' sudata, ecco.

Passano altri minuti, il treno ancora fermo alla stazione, e una ragazza emersa dal corridoio affollato mi si ferma davanti e dice "questo sarebbe il mio posto...". Mi sposto velocemente sul sedile affianco, quello sudato, e le chiedo scusa mentre anche lei si siede.
Immagino abbia pensato che neanche così io mi trovassi ad occupare il mio posto effettivo, che mi sia spostato affianco solo per pigrizia, e perchè bloccato (dalla sua stessa figura) dal raggiungere il corridoio alla ricerca di un qualsiasi altro posto libero.

Era fine autunno, i primi giorni di Dicembre... o forse Novembre? No, era Dicembre, forse proprio il weekend dell'Immacolata.
Avevo portato il computer con me per lavorare al progetto dell'esame di Cognitive Robotics. Non avevo mai fatto una cosa del genere prima: in viaggio lo studio non deve esistere, né il lavoro; ma quella volta ci trovavamo in alto mare, era anche uno dei primi esami che affrontavo con il gruppo nuovo: Lorenzo ed Eugenio, almeno Gerardo era fidato. Grandissimo Gerardo, abbiamo affrontato TUTTI i progetti di gruppo insieme.

Dicevo, era fine autunno, ergo faceva freddo. Faceva freddo eppure ricordo lei indossare un vestito leggero, svolazzante. Un vestito blu scuro con ricami di fiori rossi e gialli, gli steli scuri come i semi al centro dei petali.
Era incinta. L'età imprecisata ma non superiore ai 28. I capelli corvini

mi sento un impostore ad usare la parola 'corvini'. è finta. è costruita. è "da scrittore"

I capelli neri, e mossi al punto da essere quasi ricci.
Al telefono era legato un ciondolo, come quello di Winnie The Pooh che aveva mamma (o mia sorella?) quando ero piccolo.

Credo di aver dormito durante il viaggio, non sono sicuro. Forse no. Ma ero perso nei miei pensieri, e poco attento a ciò che succedeva attorno, né prestavo attenzione al paesaggio che scorreva fuori dal vetro. Sapevo solo che fosse tardo pomeriggio, il sole già tramontato e la luce proveniva dalle fonti artificiali del treno che poco sopporto e mi fanno fremere ancora di più per raggiungere la destinazione e scendere da quel carrello infernalmente veloce e stretto.

Era scuro fuori. La ragazza chiede che ore sono.
In rapidissima sequenza: accendo lo schermo del telefono e leggo l'orario, giro la testa verso di lei, le riferisco la risposta, noto che ha il telefono all'orecchio, mi sorride, arrossisco, mi giro a fissare il paesaggio fuori dal vetro.

Quando chiude la telefonata vorrei scusarmi e spiegarle che non sapevo fosse a telefono. Non ho il coraggio. E non ho le forze per farlo: quella luce artificiale e la mancanza di ossigeno mi paralizzano.
E poi è incinta, e ad aspettarla alla stazione di Afragola c'è il padre (di lei, non del bambino), e questo non c'entra con la mia mancanza di coraggio ma è un dettaglio che ricordo.

Era molto bella, e alta.