Vienna #2

Ho parlato di tutto tranne che del mio tempo a Vienna, l'unica cosa di cui avevo effettivamente intenzione di parlare; volevo immortalare il ricordo, avere qualcosa a cui tornare tra anni per potermi ricordare di tanti dettagli. Quindi, ecco a me.


Giorno 1: Partenza e Prater

Siamo scesi di casa in tarda mattinata. Abbiamo preso la Panda; la cosa mi ha stupito e divertito e ho stuzzicato papà per tutto il tragitto fino all'aeroporto su sta cosa.
Arrivati all'aeroporto abbiamo seguito lo schema tattico di sempre: papà è andato a parcheggiare la macchina a quel P dell'acqua ferrarelle e noi, scaricati i culi e le valigie all'ingresso, siamo andati a controllare la situazione. Il gate del nostro volo non appariva ancora sul tabellone.

Passando l'area lounge abbiamo visto i Negrita? non ricordo chi fossero ma era sicuro quella band che aveva partecipato a Sanremo l'inverno passato e aveva usato una batteria con la faccia di Stefano D'Orazio.

Ad ogni modo, superiamo i controlli e troviamo delle poltrone libere per aspettare. L'atmosfera è quella di un corridoio ospedaliero: in ogni momento un primario può uscire dalla sala operatoria, avvicinarsi con fare dispiaciuto ad una famiglia e sussurrare "Abbiamo fatto il possibile ma il volo è stato cancellato.". Tutti sono in apprensione, tutti osservano il tabellone come fosse un oracolo caduto dal cielo o, ancora piú sacro, l'unico televisore nell'unico bar di periferia che trasmette l'Italia in finale ai mondiali.
Nonostante le suppliche al primario e le preghiere al dio dei cieli, i sogni e le speranze di una vacanza straniera vengono distrutti a intervalli piú o meno regolari di 15 minuti per 200 persone alla volta. Chi riesce a partire lo stesso viene guardato con invidia e risentimento da parte di chi rimane a terra come i compagni guardano chi si fa venire a prendere prima da scuola per il "mal di pancia" prima di una verifica. Lucky Bastards.

giuro che ho smesso di fare analogie. troppi voli venivano cancellati con troppa facilità, quest'è.

Noi, per miracolo o per amore, siamo riusciti a partire. Alle 14:38 eravamo... in ritardo, sí, ma in volo.

Il volo tutto okay, anche se superata Roma ha girato verso Est e non ha piú cambiato rotta. Abbiamo attraversato quasi tutto l'Adriatico, strizzando gli occhi riuscivo quasi a vedere i Balcani. Avevo sottostimato quanto si trovasse a Est rispetto a noi, Vienna.

Atterriamo. L'aeroporto non è nulla di che, forse anche grande ma non abbiamo visto nulla. Prendiamo il treno che ci porta a 5 minuti dall'albergo. La stazione ha i binari sopraelevati. Scendiamo e ci troviamo in un quartiere tranquillo; non so se è residenziale, i palazzi lí sono tutti senza balconi e le finestre così uguali che non capisco se ci abita effettivamente qualcuno o sono solo facciate per riempire il cielo. Comunque un paio di strade piú in là stavano costruendo nuovi palazzi piú normali (con balconi).
Arriviamo all'albergo. The Niu Franz.
È moderno, pieno di gimmicks e stronzatelle varie per decorare il piano della reception e il lungo, stretto tavolo che rasenta il muro.

Tra le stronzatelle trovo una pila di mappe della città in diverse lingue. Ne prendo una italiana. Sono felice.
Sembra — è — inutile, lo so bene io: con uno smartphone e una connessione dati puoi lasciarmi in mezzo al deserto e saprei trovare la strada per casa in un minuto. Ma le mappe cartacee son belle, mi fanno sentire un esploratore. Mi piace dover aprirle con cura e poi ripiegarle con ancora piú cura, ogni volta imprecando perché non ricordo qual è il lato che bisogna chiudere per primo, e il verso. Mi piace che dopo neanche due giorni di utilizzo già mostrano i segni dell'usura con i bordi spiegazzati e le vene consumate. Mi piace poterle tenere nella tasca di dietro del pantalone (o in quella di dentro del giubbino) e cacciarle quando voglio per controllare la strada.
A casa ho tutta una collezione, spero di poter rileggere questo paragrafo in futuro e pensare "è vero, è ancora qui ed è anche cresciuta.".

Saliamo in camera. È bella, pulita. La doccia ha il piatto a terra e le ante di vetro, buono.
Spoiler: nei giorni successivi avrebbero pulito sommariamente e non cambiato le lenzuola/asciugamani. Peccato.
C'è la TV ma non l'ho accesa e ora che ci penso me ne pento, avrei dovuto essere piú curioso di vedere cosa trasmettevano i canali piú famosi. In Inghilterra hanno bei programmi, qualsiasi canale mettessi capitava uno di questi: quiz show, top gear, bake off, notiziario.
Sotto la TV c'è una cassa bluetooth, la uso mentre faccio la doccia per ascoltare la colonna sonora di The Rings Of Power che era appena stata pubblicata in anteprima rispetto allo show. Subito mi innamoro della traccia Elrond Half-Elven.

La primissima tappa di questa vacanza è stata (non credo per ordine di importanza ma per comodità logistica) il quartiere di case colorate Hundertwasserhouse. Simpatico e stravagante. Peccato la pittura sui muri sia vecchia e annerita. Vista dalle angolazioni sbagliate dà quasi l'impressione di una realtà post-apocalittica o di un mental asylum per bambini. Spero ripitturino presto. È simpatico ed esiste anche una sezione indoor con negozietti carini e colorati, e una gelateria. Peccato fosse quasi tutto chiuso quando siamo arrivati noi.

Angolo del quartiere Hundertwasserhouse

Poi abbiamo preso un pullman e siamo andati a Prater, il parco enorme con dentro il luna park. Non è inquietante, come invece mi aspettavo, ma alcune parti (praticamente tutte le attrazioni che non si trovano sul percorso principale) sono un po' tristi: pochi clienti e i proprietari hanno la faccia da gente che vive in un camper dietro la giostra e ha l'alito che puzza di birra e sigaro ad ogni ora del giorno; quelli che quando paghi per salire sulla giostra prendono i tuoi soldi con mani sempre grosse e con dita tozze e sporche di tabacco. Ci sono anche alcuni ristoranti in stile western, e carrozze e puzza di cavallo. Questa zona forse di giorno è piú viva e simpatica.
Con papà e mia sorella abbiamo fatto un giro sullo scivolo col gommone. È piú alto di quanto sembri e per qualche attimo si ha una veduta di tutta la città e della ruota panoramica a pochi metri illuminata. Sul gommone con noi c'erano una coppia di signori austriaci (o tedeschi?) con cui non sapevamo comunicare e quindi è stato tutto uno scambio di suoni primitivi del tipo "uaa", "uou", "haha" ad ogni curva brusca del gommone (una di queste è stata proprio forte e papà stava per essere sbalzato giú, la risata qui è stata piú forte da parte di tutti). Alla fine del giro la coppia ci ha salutato con un "Ciao!" troppo carino e inaspettato (questo forse conferma che sono austriaci e non tedeschi).
Sempre con papà, poi, ho fatto un giro nella casa dei fantasmi, di quelle che si visitano in un vagoncino sui binari. È stata quasi tutta uneventful, con alcuni manichini robotici che si muovono e lampi di luce improvvisi che mostrano teschi e ragni giganti; stavo per pentirmi di aver speso quei €5 quando all'ultimo a tutto, a 10cm dal fascio di luce che filtra dalla porta socchiusa che promette l'uscita, un tizio sbuca dal nulla e si getta sul vagone con in mano una capa mozzata di un vecchio coi capelli lunghi e ragnatelosi! inutile dire che mi sono cagato sotto, insieme a papà, e mamma ha pure ripreso il momento tutta soddisfatta.

Al ritorno cerchiamo un posto in cui mangiare da quelle parti, o forse papà lo aveva già trovato da casa nei giorni prima della partenza, e andiamo. È un pub a pochi metri da Prater. Ha i tavolini fuori e qualcuno di libero lo ha pure ma il cameriere ci fa sedere dentro (secondo me perché ha capito che siamo turisti e non vuole sprecare quei posti per noi). Peccato perché dentro il locale è squallido e puzza di sudore ma questa non è colpa sua. Ordiniamo 2 schnitzel e 1 petto di pollo. Arrivano dei piattoni enormi, carichissimi di patatine e carne, una cosa assurda. Il cibo è pure okay ma c'era solo acqua frizzante e non ho potuto bere abbastanza.
Prendiamo un pullman vicino Prater e torniamo all'albergo.

Un'altra cosa bella di Vienna è che ha fontanelle di acqua potabile in giro per la città. Piú che fontanelle sembrano quasi cabine, il che è buono perché subito si riconoscono, anche a distanza, e l'acqua è fresca. Aver scoperto questa cosa la prima sera è stato un grande vantaggio e un pensiero in meno.


Giorno 2: La prima colazione

Uno dei motivi che ci ha spinto a scegliere questo albergo è stata la promessa da parte delle foto promozionali e delle recensioni di una colazione fatta come dio comanda. Poi ovviamente ha il pregio di trovarsi vicino ad una stazione dei treni e di fronte ad una fermata dei pullman e tram... ma cos'è stata quella colazione! Ho fatto schifo. Ho mischiato dolce, salato, torte, prosciutto, cornetti, formaggio, marmellate, pane tostato e pane non tostato, latte, latte e latte.

La giornata incomincia con alcune fermate di metro fino al Castello di Schönbrunn. La metro ci ha lasciati leggermente piú lontani di quanto pensassimo ma non eravamo gli unici turisti a cercare il palazzo ed è bastato attraversare un parco per raggiungerlo.
Non eravamo intenzionati a visitare l'interno, solo i giardini e poi la Gloriette, una specie di tempietto sopra una collina facente sempre parte del palazzo. Ci sembrava di capire dal sito che anche per questo fosse bisogno fare un biglietto, arriviamo alla desk e la signorina carina ci dice che no, i biglietti per la Gloriette li possiamo fare direttamente alla Gloriette (a quanto pare è una specie di bar/ristorante).
Ci armiamo di buona pazienza e iniziamo a scalare la collina, io e mia sorella, mentre mamma e papà rimangono indietro a guardare un po' il palazzo — mamma preferisce non affaticare il ginocchio.
Arriviamo in cima e ci spariamo una marea di pose e foto sia io che lei sfruttando un momento magico in cui non sembrava esserci nessuno in cima con noi (a parte i clienti del ristorante ma loro mangiavano beati e comunque non sarebbero usciti nelle foto). Da questo set di fotografie ne è uscita anche la nuova mia foto profilo per WhatsApp, piccola grande vittoria.
La vista dalla collina è meravigliosa. Si vede l'intero skyline della città, con le varie guglie e chiese e palazzi, quanti palazzi! che sbucano tra i tetti normali.

ovviamente intendo palazzi reali, regge, musei e cose così.

Girandosi poi, la Gloriette pure è un bello spettacolo. Non sembra dalle foto ma è enorme. Quanto erano chic i reali che la usavano con nonchalance come sala per la poesia e la meditazione. Ad averne una pure io!
Scendiamo giú e quanti italiani che ci passano accanto! Assurdo! Già ne avevamo incontrati parecchi la sera prima e tanti ancora ne avremmo incontrati nei giorni seguenti ma non smetterà mai di stupirci questa cosa. Ovunque andiamo ci sono sempre italiani.

img_schonbrunn
Giardino del Palazzo di Schönbrunn con Gloriette sullo sfondo

Prendiamo la metro all'incontrario e scendiamo a Schwedenplatz. Mi sono innamorato di questo posto, per diversi motivi: è una fermata importante sia della metro che dei tram, ci sono due-tre linee che si intersecano e mischiano i binari e boh, mi stuzzica la cosa. Si trova a ridosso di un ponte quindi dalla piazza si vede il lungofiume e, dall'altra parte, tutta l'area della city con grattacieli e palazzi lussuosi con rooftop bars. Da questa parte, invece, ci sono due-tre strade parallele che si addentrano nella città sfociando ad altezze diverse del corso: si può prendere quella che si vuole e non si sbaglia.
Quindi: city, fiume, ponte, fermate tram e metro, piazza e strade verso il centro. Manca da descrivere la piazza; mi ricorda Roma, forse per i piccioni. Ha diverse "rosticcerie" con tavolini fuori, un Tiger ed altri negozietti. Non è pulitissima ma ci sta, considerando che c'è la fermata della metro; per terra si trovano mozziconi di sigarette, carte unte di pizzette, bottiglie vuote appoggiate vicino al muretto delle scale che scendono alla metro. Forse anche per questo mi ricorda Roma. È insomma una piazza da città metropolitana, città grande.

Schwedenplatz

comunque ricordo molti piú dettagli di quanto pensassi, pur essendo passati sei mesi o giú di lí. Forse è stesso lo sforzo mentale dello scrivere che aiuta a ricordare. mo che vado in Islanda scriverò tutto già da lí.

Giriamo per il corso e il centro storico. Mi piace. È vivo. È colorato, pieno di negozi, pieno di statue e fontane e palazzi antichi, Starbucks e McDonald's, Apple Store e chioschi di WienerWurst.
Passiamo per l'Albertinaplatz, la piazza dell'Opera. Avevamo visto su internet con mia sorella che in questa piazza doveva esserci una specie di terrazza ed effettivamente è così. Saliamo e la vista non è niente male: l'Opera si staglia di fronte, e ai lati strade che portano al corso, al centro e ad altri palazzi importanti che sbucano qua e là.

Giriamo un po' a piedi, un po' sui pullman e, partendo dalla piazza dell'Opera passiamo per il complesso dell'Hofburg con i suoi palazzi enormi e le statue.
Adoro tutti questi palazzi. Sono stile rinascimentale con tocchi barocchi ma di chiara impronta reale, quindi enormi, con spruzzi d'oro, alte colonne, statue e cupoloni.
Passiamo anche per i due musei (di storia naturale e... arte? natura?). Maestosi anche quelli. Poi arriviamo al Justizpalast e al Parlamento ma sono chiusi.

La sera i miei vanno all'Hotel Sacher per provare il dolce. Io non so per quale testardaggine decido di non seguirli e mi ritrovo a cenare al McDonald's in centro. Da un lato c'è tristezza, dall'altro penso sia una semplice conferma della tradizione di mangiare lí quando vado fuori, ovunque mi trovi.
Torniamo all'Opera e vediamo arrivare lí turisti e/o locals come i Lords del '700: con la carrozza e il cocchiere in costume. Simpatico.
Scopriamo che proprio quella sera l'orchestra di Vienna avrebbe suonato un concerto di Mozart, proviamo ad entrare ma era tutto pieno, al massimo avremmo trovato posti in piedi sulla balconata, dice la maschera; il problema è che anche quelle sarebbero state già strapiene, avevamo visto centinaia di turisti cinesi & Co correre prima di noi per accaparrarsi i posti. È stato un peccato aver perso il concerto, di Domenica poi non ne avrebbero fatti e il lunedì partivamo.


Giorno 3: Posate e farfalle

Arriva il momento che mamma piú aspettava: la visita al museo di Sissi (non so quanti film, serie TV e libri sulla storia della principessa ha consumato prima e dopo la nostra gita!).
La visita prevede tre tour con audioguida; il primo è il peggiore: tour dell'argenteria reale......
Come ho detto anche ai miei: alcuni di quei cucchiai e di quelle zuppiere erano pure belli ma guardare piatti di ceramica, forchette d'avorio e coltelli d'argento per un'ora e mezza è devastante.
Il secondo tour mostra la vita della principessa Sissi in stanze, vestiti, ritratti e frammenti di diario. Questo è stato molto interessante, non immaginavo avesse vissuto una vita così tormentata. Tra la morte dei figli, la depressione, la cura per i capelli e la forma fisica, l'esser costretta alla vita di corte ecc, non mi stupisco di come siano state scritte tante opere a riguardo.
L'ultima gamba del tour riguarda il palazzo reale con tutte le sue stanze. Anche questo interessante ma meno di Sissi, e piú lungo.

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L'hostess si era raccomandata di non scattare fotografie

Usciti dal palazzo andiamo alla Schmetterlinghaus: la casa delle farfalle. Un posto che avevamo trovato su internet io e mia sorella e che avevamo segnato come probabile tappa, ci aspettavamo molto meno di quanto poi ha stupito. È una serra enorme che ospita farfalle appartenenti a centinaia di specie diverse che svolazzano noncuranti della gente che cammina tra di loro. Alcune specie sono anche amichevoli; altre, le piú grandi e colorate, fanno le preziose.

à la E.T.

Quanti italiani che abbiamo avvertito intorno a noi facendo la fila per le farfalle! C'era anche un signore di Caserta. Il livello di patriottismo e nostalgia che raggiungo quando sento parlare napoletano all'estero è altissimo. Voglio subito mangiare una mozzarella sana, una pizza, andare al mare! Queste città europee sono belle, per carità, ma troppo serie, sempre grigie.

La tua città, troppo a Nord, non ti aiuta a ricordare.
Qui invece resta tutto al posto suo.

Dopo le farfalle siamo andati da Starbucks e ho preso la mia solita ciambella alla cannella e una qualche bevanda al cioccolato di cui non ricordo la natura precisa.
L'idea di Starbucks di poter entrare, ordinare, sedersi ed aspettare che la giornata passi, insieme ad altri che alternano il sorseggiare bevande infinite al lavorare al portatile, e all'imprecare per le briciole che si incastrano nella tastiera o le gocce di frappè-macchiato-allavaniglia-conscagliedicioccolato-senzaschiuma che macchiano il trackpad, è meravigliosa. Vorrei che ci fosse uno Starbucks anche qui, e lo so che non farebbe mai affari perché gli italiani quando prendono un caffè al bar poi lo devono bere tutto d'un fiato come se avessero paura che la bevanda, già poca all'interno di quelle tazzine, svanisse nel nulla dopo pochi secondi; lo so, ma un posto che ti permette di stare quanto tempo vuoi tu a lavorare vorrei ci fosse, quantomeno per spezzare la monotonia del dover andare sempre in biblioteca.

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Caramello, cioccolato e cannella, e ciabete

Nel pomeriggio andiamo al Castello del Belvedere, un altro complesso di palazzi e giardini reali. Molto bello, poco da dire.
Una cosa (inutile) che ricordo è che il giardino è molto lungo e tutto in pendenza; c'è un punto in particolare in cui il viale ghiaiato centrale si interrompe per la presenza di una fontana e per continuare a scendere/salire bisogna allungare il percorso, arginando questa fontana che è circondata da un prato, una bassissima catena da recinzione e, ogni tot di metri, un paletto con su scritto "non calpestare il prato". Ciò che mi ha fatto sorridere è stato vedere diversi turisti (e locals) ignorare completamente il paletto (e il senso civico) per continuare la propria passeggiata in linea retta, lungo il prato; così tante persone prendono questa pigra iniziativa ogni giorno che si è venuto a delineare un desire path. Ciò che non avrebbe dovuto sorprendermi, poi, è stato il fatto che quei turisti che ho visto — e imitato — erano tutti italiani, e tutti appartenenti a compagnie diverse.

Fontana del Belvedere (desire path sulla destra)

Fattasi sera torniamo al centro, giriamo per il corso e per cena ci trattiamo con un WienerWurst caldo preso in un chioschetto che, a pensarci ora, mi porta ancora un certo languorino.

che parola cartoonesca che è "languorino".


Giorno 4: Saluti finali

La mattina dell'ultimo giorno io e mia sorella ci svegliamo presto, o comunque prima di mamma e papà, e scendiamo a fare colazione senza aspettarli (con il buon proposito di conservare loro un posto e qualche fetta di torta). Lo ammetto, quella fetta di torta poi l'ho mangiata io stesso, vedendo che non arrivavano; i posteri potrebbero giudicarmi ma come potevo mai anticipare ciò che sarebbe successo di lí a poco? Eppure, avremmo dovuto accorgercene fin da subito. Invece abbiamo ignorato i portenti, noi, certo, ma anche lo staff dell'albergo. Che si dica!
Ebbene, dopo solo il mio secondo refill di latte notiamo tutti prima un tremore dei bicchieri e dei piatti, come scossi da un forte vento o da un terremoto, poi, un gran vociare in una lingua a me sconosciuta che riempie le nostre orecchie, e infine, una vista apocalittica: un'intera squadra di football in trasferta, compresa di riserve e contro-riserve, che si fa strada a gran voce per i corridoi dell'hotel verso la sala della colazione. Spuntano da ogni angolo, ogni ascensore o rampa di scale. Ognuno di quegli individui un energumeno piú o meno alto, tutti però di una stazza impressionante; alcuni con barbe folte come quella di Odino, altri con tatuaggi tribali su avambracci o polpacci, altri ancora pelati! Noialtri, clienti mattinieri e ignari della situazione, siamo rimasti paralizzati, incapaci di comprendere appieno cosa avrebbe significato per noi quell'arrivo.
Nel giro di pochi secondi il branco si è impossessato di tutti i piatti vuoti rimasti, e li ha riempiti con un misto di proteine e calorie tale da stendere un elefante, se ingurgitato con la foga e la velocità che hanno dimostrato questi.
Tutta sta ammuina per dire, insomma, che, quando sono scesi, i miei non hanno trovato un granché da poter mangiare.

Dopo la colazione io e mia sorella avevamo la prima parte della mattinata libera e l'abbiamo sfruttata per visitare una libreria in centro, Shakespeare & Co. che vende anche libri in inglese. Aveva una sezione dedicata interamente alla Dark Academia e mi ha fatto un po' piacere, un po' fastidio, vedere come tiktok stia decidendo cosa va di moda ma immagino debba essere semplicemente contento che piú persone si avvicinino alla lettura.
Comunque, lí ho finito per comprare un libro di Tolkien: la sua versione commentata della leggenda di Sigurd & Gudrún.

Ciò che ho notato è che sembra essere diventata una mia tradizione, quella di comprare un libro in ogni luogo che visito. La primissima volta è stata a Roma da bambino con Huntik ma non la contiamo. A Londra presi DUNE e The Hobbit (illustrato, meraviglioso!); poi è stata la volta di Sigurd qui a Vienna e, piú recentemente, Pet Cemetery a Ferrara (cos'è stato quel libro!).
Fino ad ora non l'ho mai fatto con consapevolezza ma penso che dalla prossima volta in poi sí, presterò attenzione nel ritagliarmi un po' di tempo per visitare librerie locali e comprare una cartolina del luogo.

Dopo, ho trascinato mia sorella a cercare il ponte di Before Sunrise, ne è valsa la pena.
A quel punto avevamo in programma l'ultima tappa, il Justizpalast che l'altro giorno avevamo trovato chiuso. In realtà non era prevista, solo che siamo stati molto efficienti e veloci nei giorni precedenti e ora avevamo diverse ore da perdere prima di avviarci verso l'aeroporto. Propongo, quindi, di tornarci con la promessa, da parte dell'internet, che avremmo trovato lí un bar sul tetto dal quale poter ammirare tutta la città.
Andiamo, prendiamo metro, tram o che sia e, una volta arrivati, quasi cambiamo idea pensando che forse i turisti non sono ammessi. Per fortuna troviamo altri turisti, italiani anche loro, seduti sulla scalinata del palazzo e questo ci dà la spinta. Entriamo e veniamo accolti da una guardia di sicurezza che ci controlla borse e zaini e il corpo con un metal detector; il tutto con estrema simpatia e genuino interesse sulla nostra vacanza in città (no, non stava cercando di capire se avessimo brutte intenzioni, voleva veramente sapere come stava andando).
Il posto, dentro, è maestoso! forse quasi piú dei palazzi reali visti nei giorni precedenti; direi che il punto di forza è che, al posto dello sfarzo, qui c'è austerità: il marmo è rigido, imperioso, la statua della Giustizia ti scruta ad ogni passo nell'androne e il silenzio che ti avvolge è — vuoi per la presenza di pochi turisti — piú religioso di quello della cattedrale di St. Stephen (che abbiamo visitato ma forse non nominato).

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Interno Justizpalast

Prendiamo l'ascensore e saliamo all'ultimo piano. Qui la sorpresa è stata amara perché invece di un rooftop bar ci troviamo di fronte una mensa per i dipendenti del ministero (anche se può mangiarci anche gente esterna e non sembrava male la pasta, il costo pure era onesto). La cosa peggiore però è stata il fatto che stesse piovendo e quindi la terrazza non aperta al pubblico.

Non ricordo se all'andata o al ritorno, forse nessuna delle due ed era un'occasione diversa... comunque, c'è stata una piccola battaglia tra me e papà per la supremazia, per ottenere il potere di decidere e guidare il resto della nazione famiglia verso il prossimo tram da prendere. Usciti dalla metropolitana la scelta era tra due rampe di scale che avrebbero portato ai due lati opposti di una piazza. Io sostenevo quella corretta fosse una, papà l'altra. Avevo ragione io ma il punto non è (solo) questo: il punto è che papà ha realizzato, nel corso di questa nostra gita, che il potere e la responsabilità di organizzare e pianificare queste vacanze non è piú in mano sua ma in quelle mie e di mia sorella. Dev'essere stato un brutto colpo, soprattutto per uno come lui che ci tiene ad informarsi in anticipo sui mezzi, gli orari e i prezzi per pianificare tutto e guidarci a spron battuto per quei 3to7 giorni all'anno.
Io credevo fosse piú semplice per lui godersi il tutto senza doversi preoccupare di come procedere, avrei trascorso il resto della mia vita pensando di avergli fatto un piacere — e forse è così, seppur difficile da ammettere — o che comunque è nell'ordine naturale delle cose.
La prossima volta, mi sa, lo includeremo di piú nella progettazione.

Ultimissima tappa: Setagaya Park. Un giardino giapponese nascosto in fondo alla città.
Anche questo non era del tutto previsto nell'itinerario ma di tempo ce n'era ancora molto e sono contento siamo riusciti ad andare.
C'era solo un'altra persona con noi in quel parco, e se ne stava andando quando siamo arrivati noi. Piovigginava quindi di gente in giro già se ne vedeva poca, poi magari quel posto non molti turisti lo conoscevano.
Un misto di pioggia e di rugiada su alcuni cespugli luccicava come una ragnatela scintillante. Lo stagno aveva pesci koi e tartarughe!

Ultimissimissima tappa prima di prendere l'aereo: una pizzetta in Schwedenplatz per concludere dove tutto è cominciato.
Facciamo anche un giro da Tiger mentre mamma invece cerca qualcosa per Lucia o per nonna in altri negozi.

Le avventure finali riguardano il viaggio di ritorno.
All'aeroporto troviamo una fila interminabile per il check-in di Ryanair e, come per tutta la vacanza, ci sono praticamente solo italiani in quella fila. Di italiani cafoni però.
Mia sorella inizia a preoccuparsi troppo che rischiamo di perdere l'aereo, io stavo tranquillo a fare la fila pensando "senza di noi non partono" e papà trova il modo di fregare il sistema: ci fa mettere nella fila "emergenza" per i voli che partono in meno di un'ora dicendo "tanto anche questa è piena e mentre non arriviamo al banco mancherà meno di un'ora pure a noi". Il ragionamento fila, il problema è che dopo un po' lo steward si alza e se ne va senza dire niente a nessuno e l'intera fila di emergenza rimane fregata, io compreso. Ovviamente ci guardiamo tutti in faccia esprimendo quell'espressione all'italiana del "ma questo veramente sta facendo?", c'è chi predica, chi ride sotto i baffi per l'assurdità della cosa, chi sbatte le braccia ai fianchi, chi urla il nome di Carmela che intanto stava facendo l'altra fila dicendole che mo l'avrebbe raggiunta lí, e ci sono io, senza parole.

Alla fine riusciamo tutti a fare questo check-in e a superare i controlli, giusto in tempo; in tempo per vedere il nostro volo subire un ritardo consistente. La cosa è dispiacevole ma devo ringraziare il fato perché con tutto quel tempo a disposizione ho potuto iniziare a leggere seriamente Jane Eyre. Dico seriamente perché questo era il mio libro del viaggio (ad ogni viaggio mi porto un libro appresso... parto con uno e torno con due) e ci avevo già provato durante il volo di andata e un po' la sera in hotel ad iniziarlo ma sempre con scarsi risultati; ero troppo stanco. Questa volta invece mi ci immergo e già dalle prime pagine riesco a farmi trascinare dalle parole. Attualmente rientra nella lista dei miei romanzi preferiti.

Poi si decolla. Il problema — perché non ci facciamo mancare niente — ora è atterrare. Dev'esserci qualche problema sulla pista, forse è semplice traffico, perché l'aereo inizia a sorvolare la zona di Napoli come uno sparviero, girando in cerchio sopra la preda, in attesa del momento adatto per fiondarsi. Per ben quattro volte mi vedo spuntare il Vesuvio dietro al vetro e il motivo per cui guardavo fuori invece di leggere quel libro che tanto mi aveva preso un paio d'ore prima è la chiacchiera che si stavano facendo due passeggeri seduti davanti a me. Lui, studente di ingegneria informatica all'università di Napoli in procinto di prendere il dottorato; lei, professoressa della facoltà di CTF, sempre a Napoli. Lui, viennese che vive in Italia da qualche anno; lei abita al Vomero — non c'è altro da aggiungere.
Poi atterriamo, e aspettiamo i bagagli. Siamo a casa.

Slow down you crazy child
Take the phone off the hook
And disappear for a while
It's alright you can afford to lose a day or two
When will you realize
Vienna waits for you